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Interviste

“Il mondo è qui”, meraviglie e contraddizioni

Daniele Rotondo, romano di nascita classe 1979, anni trascorsi prima come chitarrista, poi come fotoreporter per concerti, ha un vissuto pieno di musica e tante cose da raccontare. Dopo aver pubblicato “Astronauta” (ottobre 2019) torna con un nuovo lavoro prodotto durante il lockdown dal titolo “Il mondo è qui”. Daniele ci racconta dei suoi cambiamenti e delle sue esperienze legate alla musica, e anche lui come tanti vorrebbe tornare presto a suonare per presentare dal vivo “Il mondo è qui”. Abbiamo anche fatto un gioco, ma per scoprirlo dovrete leggere la nostra intervista…

Ciao Daniele come stai?
Ciao Eliana tutto bene grazie ^_^

Quanta voglia hai di tornare a suonare dal vivo?
La voglia è davvero tanta devo ammetterlo, soprattutto perché ormai è passato più di un anno. Poi quando esce un nuovo album la prima cosa che vuoi fare è suonarlo dal vivo per vedere l’effetto che fa alle persone. I commenti sui social e i messaggi fanno piacere, ma ricevere un feedback vis a vis ha sempre un altro sapore.

È uscito da poco il tuo nuovo album “Il mondo è qui”. Ce lo racconti?
“Il mondo è qui” è un album nato mentre ero impegnato in altri progetti. Era da poco uscito il mio primo lavoro “Astronauta” (Ottobre 2019 n.d.r.) ed avevo alcune date in giro per la presentazione live. Poi è arrivato il lockdown che ha bloccato tutto. Anziché perdermi d’animo mi sono messo al lavoro su qualcosa di nuovo, avevo già delle canzoni rimaste fuori dalla sessione di “Astronauta” ed altre ne sono uscite in un momento davvero molto riflessivo con me stesso e con il mondo che mi circondava.
È un album sicuramente più pensato (ho avuto molto più tempo a disposizione rispetto al primo) sia negli arrangiamenti sia nei testi stessi. Racconta a mio modo il mondo che vivo e che viviamo, mi piace dire: “le sue meraviglie e le sue contraddizioni”. La traccia che dà il titolo all’album è un po’ il sunto del mio pensiero “questo mondo sempre più interconnesso digitalmente, ma al tempo stesso disconnesso nel quotidiano”. Anche la copertina dell’album (che sono ripetitori di segnale telefonico e parabole) è molto di impatto ed enfatizza il messaggio.

La traccia che dà il titolo all’album è un po’ il sunto del mio pensiero “questo mondo sempre più interconnesso digitalmente, ma al tempo stesso disconnesso nel quotidiano”.

Lasciarsi andare è il primo singolo del tuo disco. Tu come sei riuscito a lasciarti andare, soprattutto in questo periodo particolarmente stressante?
Sicuramente con la musica, non potrei rispondere altrimenti. Il periodo tra marzo e maggio l’ho trascorso in piena solitudine e sicuramente questo avrà avuto i suoi effetti (ride, ndr). Ma piuttosto che perdermi d’animo, mi sono rimboccato le maniche e mi sono messo a lavorare sul nuovo progetto (con sessioni anche di 8/10 ore giornaliere). Tutto questo mi ha dato sicuramente la forza di affrontare un momento così delicato per tutti e spero che il risultato finale si senta.

Da cosa ti sei fatto ispirare per comporre la tua musica?
Beh sicuramente da tante cose. In primis ti dico (me lo chiedono spesso) che per me nasce prima la musica. Gironzolo con la chitarra accennando qualcosa finché non viene un motivo (quasi dal nulla) che mi incuriosisce.
Lo registro subito altrimenti me lo perderei nel giro di pochi minuti e poi ci continuo a lavorare nei giorni a seguire finché non ho una ‘struttura canzone’ ben definita.
Da lì arriva la parte più difficile, il testo. Non perché non abbia cose da dire ma perché, sembrerà una banalità, far combaciare la linea melodica con le parole è forse la cosa più sfidante, devi magari tagliare, aggiustare allungare senza però snaturare il messaggio che hai in testa.

Sei anche un fotoreporter di concerti. Come ci si sente a stare dall’altra parte?
Sensazione che non provavo da molto tempo, e devo dire che è una bella sensazione. Ho sempre vissuto circondato dalla musica, prima come chitarrista, poi fotografando concerti ed ora di nuovo sul palco per portare in giro la mia musica. Sicuramente tutte le esperienze mi sono servite e mi hanno aiutato e cerco di trarne una lezione. Ad esempio, quando sono sul palco ora, per quanto mi è possibile, cerco di evitare smorfie o facce strane, forse conscio di quante fotografie (anche di personaggi molto famosi) ho dovuto buttare. Certo non sempre ci riesco.

Facciamo un gioco, se avessi la possibilità di fare a cambio con un artista in un live, magari il tuo preferito, chi metteresti a scattare le foto al tuo concerto?
Eh, bellissima domanda e bellissimo gioco!
Guarda così senza pensarci troppo te ne dico due per due motivi differenti.
Il primo è Liam Gallagher e l’ho scelto perché non è proprio una persona che sia solito trattare bene i fotografi sottopalco – si vocifera, e si consiglia di non avvicinarsi troppo al palco durante un suo concerto perché potresti prendere un calcio, anche se a me fortunatamente, avendolo fotografato tre volte, non è mai capitato. Quindi per la legge del contrappasso ce lo vedrei bene.
Il secondo lo inserisco perché purtroppo non ho mai avuto il piacere di fotografarlo ed è uno dei miei ‘eroi’ musicali di sempre: Bruce Springsteen.

Hai mantenuto però un contatto con la fotografia, il videoclip è stato girato a Roma presso la sala pose “Amici della Fotografia” dal regista Diego Coluzzi. Non è certo una coincidenza…
No direi proprio di no ☺
Avendo avuto sempre un grande amore per la fotografia ed il cinema, nei videoclip cerco sempre di ricreare una situazione e di raccontare qualcosa, altrimenti si ridurrebbe solo a una sequenza di immagini senza troppo senso. In questo l’atmosfera che volevamo ottenere era chiara fin dal principio. La canzone è molto intima ed è una sorta di riflessione che il protagonista fa tra sé e sé. Ecco spiegato il set molto spoglio, immagini un po’ statiche e il bianco e nero. Nulla deve essere un elemento di distrazione.

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