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TOP 5: I MIGLIORI ALBUM STRANIERI DEL 2023

Con consueta discontinuità, NoiseCloud talvolta si ricorda di esistere. Eppur si muove, come direbbe qualcuno.  Come non chiudere, dunque, quest’anno con la classifica dei 5 migliori album stranieri del 2023?

Le regole le conosciamo tutti: una classifica tutta in my humble opinion, nessuna pretesa di fornire un parere da critico musicale (perché, se noi siamo dei falliti, loro lo sono ancora di più), sicuramente – a giudicare dal trascurabile minutaggio del mio Spotify Wrapped – qualcosa me lo sarò perso e comunque non mi flagello.

Prima di iniziare, occorre citare le menzioni d’onore escluse da questa lista, ma ricomprese nella playlist che abbiamo creato: Shame, Blur, Ana Frango Elètrico, Parannoul, The WAEVE (progetto del mitico Graham Coxon e la musicista e compagna Rose Elinor Dougall)

Quindi, messe le mani avanti col solito paraculismo che ci piace, possiamo cominciare!

5. Gigi’s Recovery, Murder Capital

Sull’onda del filone post-punk con base a Dublino che ha fatto del “Fuck the Queen!” la propria bandiera (e chissenefrega se ora c’è Re Carlo, il mondo, compreso lui, non se n’è accorto), i Murder Capital infiammano il 2023 con un album denso di echi, riverberi, elettricità generati dal perfetto connubio di tastiere e chitarre, in cui la voce cavernosa del cantante James McGovern costruisce una dimensione lirica fatta di rabbia ed esistenzialismo. Malinconico e delicato, riflessivo e in alcuni picchi memorabile (si veda il singolone “Return My Head”). Un colpo vincente per la band irlandese, che da ora non smetteremo di tenere d’occhio.

4. Space Heavy, King Krule

A King Krule non si può che volere bene, se non altro per la sua capacità di creare l’atmosfera giusta per rilassarsi, appoggiare la testa sul cuscino, guardare il soffitto a raggi X immaginando che al di là si estendano miliardi di galassie in collisione tra loro. Questo è quanto emerge dall’ascolto di “Space Heavy”, un disco che va esperito dall’inizio alla fine, seguendo l’ordine delle canzoni, cercando di intuire – fallendo – il disegno divino alla base di questa opera. Senza essere troppo iperbolici, ci troviamo di fronte al perfetto mix di psichedelia, sonorità oniriche ed endorsement al veganismo (qui scherzo, ma dopo aver ascoltato “Hamburgerphobia” qualche domanda me la sono posta).

3. Be-Bop-A-Lula, Spinvis

Uscendo dai soliti nomi che ci rendono la copia sbiadita di Pitchfork, l’underdog di questa classifica al terzo posto dei migliori album stranieri 2023 è Spinvis. Cantautorato olandese, qualunque cosa significhi, unito a una produzione elegante che fa sembrare tutti i brani di Be-Bop-A-Lula registrati in presa diretta, impregnati di quella patina lo-fi tale da farci ricordare i fasti dei Neutral Milk Hotel e gli Wilco. Spinvis ci mette la ciccia, per un disco pieno di canzoni che si piantano in testa come chiodi (per dirne tre, “Wie Zag Het Licht”, “Lente ‘22”, “Paradijs”). Non fatevi intimorire da tutte quelle vocali aspirate che rendono l’olandese una lingua orrenda, il cantato di Spinvis ve le addolcirà come miele.

2. Praise a Lord Who Chews but Which Does Not Consume; (Or Simply, Hot Between Worlds), Yves Tumor

Ok, qui ammetto perplessità. A partire dal titolo. E poi dalle canzoni. Yves Tumor è un pagliaccio e non tanto perché ha sempre i capelli del colore degli Uniposca, ma perché si burla di noi. Senza le pretese di un David Bowie (e – perché no? – di un Renato Zero), le sue movenze e la sua attitudine glam sono impiegate non per provocare, ma per stupire. Le canzoni, dai titoli criptici e dai testi ancor più enigmatici (“Heaven Sorrounds Us like a Hood”, per fare un esempio) fanno il resto. Scervellarsi nel trovare un senso a questo album e più in generale a Yves Tumor è un errore. Tutti gli artisti sono un po’ onanisti e lui lo è ancora di più. Più giusto sospendere l’incredulità e lasciarsi sedurre dalla musica, in un disco pop rock raffinatissimo pieno di bassi pulsanti, ritmiche al cardiopalma e il falsetto di Tumor amalgamato alla perfezione. Una perla.

1. Hellmode, Jeff Rosenstock

Lo avevamo lasciato a scimmiottare se stesso ricantando le proprie canzoni in chiave ska. E fin qui tutto bene, cioè no, non va tutto bene Jeff, ma l’importante è che tu sia felice. Quest’anno esce con l’album che potremmo definire “della consapevolezza”, anche se questa etichetta fa ridere, specie se attribuita a Rosenstock, che ha fatto del contrario della consapevolezza (l’incoscienza, dice Google) il suo marchio di fabbrica. Con lui è sempre una festa, una catarsi di dimensioni bibliche urlata a squarciagola. “Hellmode” è un capolavoro punk rock dove ogni pezzo è più bello dell’altro, giocato sul costante climax che culmina nell’esplosione, a volte telefonata a volte no, perché il nostro eroe, oltre a svenarsi, è alla costante ricerca di melodie super orecchiabili. “Hellmode” è hardcore e al contempo tutto il suo opposto. Non ho brani da consigliare. Ascoltatevelo tutto, non ve ne pentirete.

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