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TOP 10: Le copertine più brutte del 2021

Ogni fine anno è d’uopo fare classifiche musicali, cinematografiche, letterarie. Qui non parleremo del miglior libro, del miglior film o del miglior concerto, bensì delle copertine più brutte che hanno inondato gli scaffali dei negozi di dischi, nonché le nostre playlist Spotify. L’elenco è rigorosamente in ordine alfabetico, per non offendere nessuno più di quanto non si sia già potuto offendere con l’inserimento in questa speciale classifica. Forza e coraggio, buona “visione”.

Alex Rex: Paradise (Neolithic Recordings)

Un mix tra Magritte e Frida Kahlo, con colori saturi (pure troppo) e 4 uccellini che svolazzano in faccia e sulla testa della donna in primo piano per un disco dalla bellezza musicale inversamente proporzionale a quella di copertina. A volte con una buona presentazione siamo a metà dell’opera: qui la metà dell’opera la raggiungiamo con la musica, che alla fin fine è ciò che conta.

Alice Cooper: Detroit Stories (earMUSIC)

Un po’ Batman, un po’ “Opera” di Dario Argento, l’ultimo lavoro del 73enne Alice Cooper si presenta con una copertina alla Gotham City che anziché avere un Bat-segnale ha un Cooper-segnale, con due occhi sbarrati proiettati sul cielo, come a dire “Alice vieni a salvare il mondo”. Alice però il mondo ormai non può salvarlo più (a quell’età ci riesce solo Harrison Ford nei panni di Indiana Jones) ma riesce a stare ancora discretamete sulla cresta dell’onda.

Brian Wilson: At My Piano (Universal Music)

Partiamo subito da un presupposto: Brian Wilson, classe 1942, è una vera e propria leggenda del rock e questo disco è un gioiello di rara bellezza, con i Beach Boys rivisitati in chiave intimistica e minimale. Però però, c’è un però. La copertina, con questa impostazione e questo tipo di foto, sembra un depliant di una casa di riposo americana in cui si dice “Porta qui tuo nonno e troverà la felicità!”. Caro Brian non si fa così. Basta una foto per smontare tutta la bellezza contenuta in questi 50 minuti.

Caleb Landry Jones: Gadzooks Vol.1 (Sacred Bones Records)

Pazzia, rabbia, orrore. C’è tutto nella copertina dell’ultimo disco di Caleb Landry Jones, attore/musicista americano (“Tre Manifesti a Ebbing, Missouri”, “Scappa: Get Out”, “X-Men: L’inizio”, “Barry Seal”) dall’indubbio valore artistico. La copertina è finita in questa speciale classifica perché è brutta la foto, è brutto l’accostamento dei colori, è brutto anche il titolo buttato lì in basso con pochissima leggibilità. Fortunatamente, il contenuto del lavoro non è così male come si presenta all’esterno.

Camilla Munck: Aeon (Moondrop)

Arriva dalla Danimarca questa cover-artwork onirica e misteriosa. Sembra tutto pacifico: una persona elegante in posa sugli scalini con sullo sfondo un lago rilassante, cielo sereno, silenzio. E poi boom, sulla testa del soggetto in primo piano esplode una lumaca. Una copertina totalmente nonsense che si fa fatica a comprendere. Sarà stato il risultato di un sogno dopo una cena a base di peperonata?

Cannibal Corpse: Violence Unimagined (Metal Blade)

Se vi eravate spaventati due copertine fa, ancora non avevate visto nulla. I Cannibal Corpse, storica band brutal-metal dai testi atroci e dissacranti, qui ha dato il megl…il peggio di sé. Una specie di Venom dai capelli bianchi spalanca la bocca e tira fuori la lingua in una pioggia di sangue. Totalmente splatter e fastidiosa. VM18.

Iran: Iran Persis (Aagoo)

In periodi di Green Pass, inizia ad andare di moda l’utilizzo dei codici QR. Beh, qui ci troviamo quasi davanti ad un QR dalle tonalità più chiare rispetto a quello canonico. Analizzando attentamente le varie diramazioni del labirinto si possono intravedere il nome del gruppo e il titolo dell’album. D’impatto sembra quasi una mattonella da porre in una doccia. Insomma, si poteva fare di meglio.

Nahawa Doumbia: Kanawa (Awesome Tapes From Africa)

Dall’Africa ci arriva questo gioiellino di arte contemporanea. Una donna dorata in posa cantante che sembra stata toccata da Re Mida in cui non c’è differenza di colore tra pelle e veste. È tutto oro che nemmeno a Ravenna o Bisanzio. Tocco di classe, il titolo del disco a caratteri cubitali stile Avengers. Non ci siamo.

Paysage d’Hiver: Geister (Kunsthall)

Una maschera nera arrabbiata su sfondo nero come copertina di un disco black-metal. Autore molto solare col quale scambiare una tranquilla chiacchierata davanti ad un caffé macchiato (anzi macchiato no, si perderebbe quel tocco di nero del caffè).

Raoul Vignal: Years In Marble (Talitres)

Cosa c’è di peggio di una foto col baffo anni ’70 con viso triste e camicia da cowboy? Probabilmente niente. Ed è così che vogliamo congedare il pubblico che ha seguito questa classifica speciale, con quest’aura di tristezza e angoscia che pervade questo scatto, come a ricordarci gli ultimi 2 anni passati tra un lockdown e una mascherina.

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