fbpx
Interviste

Sick Tamburo, “Non Credere A Nessuno” – Intervista

sick tamburo

10 tracce. Una più bella dell’altra. Si, questo è “Non Credere A Nessuno”, l’ultimo lavoro dei Sick Tamburo uscito lo scorso 21 aprile per La Tempesta Dischi.
Una produzione che non stanca nell’ascolto, la ricerca di melodie accurata ma sempre con un’attitudine punk come a dire “si ma ci è venuto tutto naturale, non ci siamo impegnati” e invece arriva una sensazione di ricerca musicale degna dei maestri del songwriting.
Si, se sei Gian Maria Accusani (già al tempo fondatore dei Prozac+) probabilmente è anche vero che ti viene spontanea quel tipo di costruzione perfetta tra melodia e ostentati di chitarra che come ci racconta lui “è il mio modo naturale di scrivere, la mia cifra stilistica, con i riff che sai incastrano ad ogni pausa”.
Sole libero che può riscaldare le nostre anime che invecchiano”.
A me sembra invece che i Sick Tamburo non solo non invecchino ma continuino a creare un’urgenza nel linguaggio in cui molti di noi si possono rispecchiare.
Per questo siamo andati a trovarli a Largo Venue, che ospita il sold-out romano (dopo quello già registrato a Milano) della band pordenonese.
Con l’occasione abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Gian Maria Accusani.

Ph: Matete Martini

“Non credere a nessuno” è per certi versi un disco lapidario. La cosa che spesso mi infastidisce della critica o del fruitore di questi lavori è la forzatura nel voler necessariamente trovare una speranza ai messaggi riportati nei testi, quando magari sono già perfetti così. Tu mentre scrivevi i nuovi brani sentivi l’esigenza di restituire una sorta di speranza?

Partiamo dal presupposto che racconto delle cose che ho percepito, provato e visto provare quindi fotografo delle situazioni che spesso non sono solo mie.
È chiaro che la fruizione artistica di base crea l’interpretazione soggettiva nella quale più volte riconosco, con più o meno ragione, si cerca qualcosa di speranzoso. D’altro canto anche prendere il messaggio così com’è va altrettanto bene.
Io racconto di cose che in qualche modo potrebbero sembrare nella direzione della speranza però è anche vero che racconto spesso di cose dure e ruvide e del modo in cui accettando le cose dure e ruvide si può anche star bene. Il masochista di per sé è felice, in fin dei conti, nel suo godere del dolore.
È un racconto di molte cose messe insieme senza insegnare nulla agli altri.
Voglio raccontare solo quello che vedo e che provo.

In termini un pochino più tecnici invece puoi spiegarmi il processo di produzione dietro questo disco? A me arriva molta immediatezza, sembra quasi un disco “di pancia”, è così?

Si è così.
Sicuramente ecco, c’è stata qualche novità nel modus operandi, probabilmente anche figlia del post-pandemia.
Di solito mi faccio tutto da solo. Questa volta ho avuto il bisogno di uscire un po’ dal mio studio (che è a casa mia) e ho provato a condividere la produzione con un altro ragazzo più avvezzo all’elettronica.
Sempre per le stesse ragioni ho provato anche a mixare qualche pezzo con un’ altra persona. Quindi oltre a me appaiono, in un paio di brani, anche Christian Noochie Rigano e Alessandro Sportelli, oltre a Ricky Carioti che ha curato il master.

Prima di questa piacevole chiacchierata con Gian Maria ero sul treno ed ho ascoltato questo album per tre volte di seguito. Davanti a tanta verità, seppur dura, trovo una bellezza sconfinata che a volte solo la commozione può restituirle un senso di decodifica. Mi è successo in maniera più forte sentendo la voce di Roberta Sammarelli (Verdena) su “Per sempre con me” in cui ho sentito un po’ la gola stretta, nel ricordo di Elisabetta Imelio, e in “Piove Ancora”.
Il disco passa per capolavori come “Fino a farcela” e “Bianca Blues” per dare quel finale aperto degno di un film di Hollywood con “Certe Volte”.
Alcuni di questi brani vengono eseguiti live dai Sick Tamburo in uno show fatto di un rock senza fronzoli e di una verità incredibile, dove nessun fan sembra stancarsi mai.
Tra chi balla e chi strilla come un ossesso io penso solo che vorrei avere qualche anno in meno per rompermi la testa in un pogo folle sotto al palco, perché ho assistito senza dubbio ad uno dei concerti punk più belli degli ultimi 5 anni.
Lunga vita ai Sick Tamburo.

a cura di Luca Frugoni

Condividi: