fbpx
Interviste

Blindur, fan della parola “alternative”: l’intervista

Nell’epoca in cui la musica liquida viaggia velocissima, con migliaia e migliaia di relase al giorno, c’è ancora chi lavora artigianalmente, concependo album veri e non brani per playlist. Quel qualcuno si chiama Blindur (alias Massimo De Vita) che, lo scorso 30 settembre 2022, ha rilasciato per la Tempesta DischiExit“, il suo nuovo album.

Un lavoro di ampio respiro quello del polistrumentista, nato durante il difficile periodo della pandemia ed emerso lentamente, in modo oculato, prendendosi tutto il suo tempo; qualcosa di quasi alieno nel mondo dell’industria discografica odierna, sempre più assetata di brani veloci e impattanti. Eppure, un modo per ritagliarsi il proprio spazio anche all’interno di questo mondo c’è, come svelato dall’artista stesso in occasione di un’intervista rilasciata a Noisecloud proprio in occasione del lancio del suo nuovo progetto.

Il primo elemento che emerge dopo l’ascolto di “Exit” è che si tratta a tutti gli effetti di un disco, lontano dunque dal concetto di liquidità. Qual è stata la sua gestazione?

Nonostante sia comunque un fan della musica liquida credo che ci sia un determinato tipo di pubblico magari più affezionato a un insieme di storie, preferendo una storia lunga piuttosto che una storia breve, per questo alcuni artisti scelgono ancora di fare degli album. “Exit” è nato due anni fa.

Abbiamo cominciato a lavorarci senza porci un obiettivo: non sai mai cosa capita quanto inizi a scrivere le canzoni. Sono stati due anni molto lunghi che ho affrontato con il cuore in mano senza aspettative; devo dire che la gestazione è stata più lunga rispetto al solito, ma questa lungaggine ha avuto un senso.

Due anni fa, dunque proprio in piena pandemia. Corretto?

Precisamente nell’inverno 2020, dunque durante il secondo lockdown. Ho scritto le canzoni proprio a inizio di quell’anno, quando siamo stati costretti a interrompere il tour saltando anche la tranche di concerti negli Stati Uniti. In quel periodo ho riconquistato il tempo per scrivere, raccogliere delle idee. Poi nel mezzo ci siamo anche trovati a partecipare a Musicultura. Poi appunto nel secondo lockdown ci siamo chiusi in studio iniziando a fare i primi provini, le canzoni sono venute insieme piano piano, addirittura gli ultimi due brani sono sbocciati prorpio mentre stavamo registrando il disco: “Exit” è quindi una fotografia che copre due anni interi.

Tra i brani presenti nel disco spicca tra le altre “Aar”, brano molto particolare e introspettivo. Puoi dirci qualcosa in più?

Sono particolarmente legato a questo brano: si presenta come una canzone che sembra un brano minore ma che per questioni personali è molto importante, Aar è un fiume svizzero che attraversa Berna, è stato il simbolo di una fase personale molto delicata: mi piaceva l’idea che il pezzo portasse il nome di un fiume in quanto li associo spesso all’idea del tempo e dello scorrere del tempo. La natura mi restituisce sempre la volatilità delle cose: tutte le cose sono passeggere come è passeggero il dolore, la mancanza, la nostalgia; il fiume mi è servito per provare a esorcizzare quel momento in cui sembra davvero tutto troppo ma che è in realtà è solo un momento. Poi è una canzone estiva che sembra tutt’altro, parla di un estate dove fuori fa molto caldo ma dentro fa un certo freddo.

Altra componente essenziale di “Exit” è quella musicale, altro fattore che differenzia l’album dalla musica cosiddetta indie che gira oggi…

Io mi reputo un grande fan della parola alternative, un contenitore dimenticato che potrebbe restituire una patria a quella musica indipendente che non tocca il culo all’itpop. Provando a stare in quest recinto, che è molto più estero che italiano, di fatto la ricerca del suono è quasi una priorità. Io sono un polistrumentista, giocare con gli strumenti è stata una mia passione. In questo disco mi sono divertito, ho suonato il pianoforte, il mio primo strumento, che non avevo mai suonato in un disco di Blindur. Poi ha suonato la band che gira con me dal vivo nel 2019 aggiungere il bagaglio di ognuno è stato bellissimo. Ci sono le orchestrazioni della violinista Carla Grimaldi; Luca Stefanelli oltre a suonare il basso è anche epserto di elettronica e musica sperimentale. Il mio batterista ha suonato anche le drum manchine. Insomma, cI sono più polistrumentisti all’opera.

Oggi la musica italiana porta al suo interno un paradosso: da una parte è molto più semplice scoprire musica e artisti nuovi, dall’altra paradossalmente è difficilissimo farsi spazio, causa un mercato che all’apparenza sembra saturo. Qual è secondo te la chiave giusta per farsi notare?

In effetti lo steram è un mezzo che permette di conoscere tanta musica rispetto a prima, io sono uno di quelli che faceva le nottate davanti alla radio alla ricerca di musica cosiddetta altra; oggi ho le mie playlist di riferimento dove quasi settimalmente trovo roba che entra nei miei ascolti. Adesso è più difficile appassionarsi, a volte un artista ad esempio sforna un pezzo bellissimo e il resto dell’album è una delusione.

Proprio perché sono consapevole che quello che faccio io non è da stream, ho provato a chiedermi qual era la cosa più importante da legare alla mia musica per far appassionare le persone al mio progetto: e quella cosa è il live. Tanti fenomeni musicali estremamente legati allo stream magari non hanno necessariamente un certo circuito live, anzi alcuni fanno direttamente dei posti enormi e quindi tutta la parte underground resta nelle mani di chi fa musica come me. Anche quello è un mare complicato da navigare; i locali sempre meno, sostenibilità è complessa ma quella dimensione fidelizza tanto pubblico: fare un live come si deve proponendo un tipo di esperienza a tutto tondo è una scelta assolutamente vincente: realizzare un live diverso, suonato studiato credo sia l’unica via di salvezza per l’alternative.

A proposito di live, cosa dobbiamo aspettarci dal vostro live?

Si tratta di uno spettacolo diverso dal passato, ci siamo fatti carico di una scenografia, abbiamo lavorato sull’aspetto psichedelico e per l’occasione abbiamo deciso di vestirci bene, non per nostra competenza ma grazie alla collaborazione con un brand napoletano emergente, di nome APNEA, che ha tra le altre cose un profilo etico particolare, motivo per cui abbiamo iniziato questa avventura insieme. Il live è elegante ma estremanetne festoso, un po’ si piange un po’ ci si diverte.

Condividi: