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Interviste

Gian Maria Accusani e il coronamento di un sogno

Partirà il 23 giugno 2021 dal Bagno Peter Man di Marina di Ravenna il cammino di “Da grande faccio il musicista“, lo spettacolo dal vivo di Gian Maria Accusani, co fondatore dei Prozac + e dei Sick Tamburo. Uno show molto intimo, anticipato dalla relase de “il fiore per te“, dove l’artista di Pordenone racconta tra aneddoti e canzoni il coronamento del suo sogno, quello di lavorare nel mondo della musica.

Abbiamo contattato il cantautore pochi giorni prima del suo esordio, facendoci raccontare qualcosa in più sul suo background e non perdendo l’occasione di chiedere anche un commento sul difficile momento che stiamo attraversando.

Gian Maria, del tuo spettacolo colpisce già il titolo, non declinato al futuro ma al presente, con tono deciso e perentorio. Ma quando è stato la prima volta che ti sei detto: “sì, da grande faccio il musicista”?
Come racconto nello spettacolo all’età di sette anni, quando ho iniziato a fare musica, ho capito da subito che quello sarebbe stato il mio lavoro; fortunatamente è successo.

I tuoi esordi tra l’altro sono stati alla batteria, ma scrivevi già all’epoca oppure hai cominciato cambiando strumento?
Ho iniziato a scrivere veramente quando ho abbandonato la batteria proprio perché mi ero stufato di suonare pezzi che comunque scrivevano altri. Come batterista partecipi meno alla composizione in quanto manca la parte melodica e armonica, contribuisci alla parte ritmica ma la canzone la costruiscono principalmente il chitarrista o il tastierista. Mi capitava dunque di suonare qualcosa che mi piaceva ma anche cose che non mi piacevano. A un certo punto mi sono detto: “Voglio fare la musica che piace a a me, voglio suonare le mie canzoni e non quelle di altri”. Ho quindi abbandonato la batteria e imbracciato la chitarra.

Hai avuto un approccio accademico con la chitarra?
No, anzi. Ho cominciato con un percorso accademico agli inizi, prima a sette anni e poi a undici con batteria; la chitarra non sapevo suonarla, sapevo fare due tre cose, le classiche cose che sai fare quando comunque maneggi altri strumenti. Ho iniziato quindi a scrivere i miei pezzi con un uso anomalo dello strumento perché non suonavo in maniera canonica. Suonavo la chitarra nel modo che mi permetteva di scrivere le mie canzoni. Tutto sommato è stata in parte una mia fortuna: la mia non conoscenza canonica ha determinato l’originalità della scrittura, le cose che pensavo venivano tradotte con il mio modo di suonare che era anomalo. Ai tempi mi dicevano: suoni la chitarra come un batterista, cosa assolutamente vera.

Come anticipazione dello show hai rilasciato il 4 giugno 2021 una versione minimale de “Il fiore per te“, una delle perle rare incastonate nella discografia dei Sick Tamburo. Come mai hai scelto proprio questo pezzo?
Nel 2020 ho fatto qualche data con questo spettacolo, una volta terminato quel piccolo tour ho provato a registrare alcuni brani che eseguivo sul palco chitarra e voce, alcuni mi convincevano altri meno. Ho capito poi in studio di poter registrare anche più suoni alle linee di sola chitarra, da lì alcuni brani sono diventati convincenti, tra cui “Il fiore per te“. Non c’è quindi qualcosa di specifico.

Sarà uno show dove, per la prima volta, sarai da solo. Hai già fatto alcuni spettacoli nell’estate del 2020 come hai appena accennato, quali sono state le tue sensazioni? Possiamo considerarlo quasi un esordio? Questa esperienza potrà portarti anche a cominciare un progetto individuale?
Sicuramente un esordio, ho fatto qualcosa che non avevo mai fatto prima. Non è un concerto, buona parte dello spettacolo è parlato, racconto il mio viaggio nel mondo della musica con canzoni e aneddoti. Di per se è qualcosa di nuovo perché per metà spettacolo parlo. In futuro non lo so, anche se facessi qualcosa di individuale non andrei a suonare sul palco da solo, qui sono solo perché si tratta proprio di un racconto intimo.

Curiosando sul tuo Instagram è bello vedere alcuni tuoi scatti fotografici di quando eri adolescente, testimonianza di una personalità sicuramente in controtendenza rispetto a quello che accadeva in Italia, figuriamoci in provincia. Oggi tutto appare cambiato: da una parte, penso a quello che si vede su TikTok, i giovani sembrano sicuramente più liberi ma allo stesso tempo ingabbiati comunque in determinati codici. Tu che idea ti sei fatto sulle nuove generazioni?
Una cosa ho imparato da piccolo, la sentivo dire dai più grandi: l’unica realtà che abbiamo è il cambiamento: è ovvio che sia tutto in movimento e quindi poco giudicabile, c’è un’evoluzione continua. Per me è stato sempre naturale vedere le cose che cambiavano. Per alcuni è importante l’estetica per altri meno. Quando ero nei The Great Complotto sulla scia del punk britannico e americano di fine 70’s, molti di noi utilizzavano la parte estetica in maniera importante, volevamo farci vedere apertamente diversi e rimarcarlo: l’estetica era il mezzo per dire a tutti “Guardate che noi siamo veramente diversi”. Oggi è difficile trovare una diversità estetica, sei diverso se sei la persona più normale del pianeta in quanto si vede di tutto e di più. A 14 anni a conciarsi in quel determinato modo eravamo qualche centinaio in tutta Italia, vedevi queste stravaganze nelle foto e quasi mai dal vivo. Noi comunque volevamo rimarcare questa nostra diversità per le quali eravamo orgogliosi, pagandone anche le conseguenze. Nello spettacolo ne parlo.

A proposito di cambiamenti. Secondo te, oggi, nel panorama musicale, esiste ancora il circuito underground?
Esiste ma è sempre più piccolo. Questo nuovo movimento che hanno chiamato indie in realtà non è altro che la nuova musica leggera italiana, qualcuno lo fa con gusto e qualcuno no, un po’ come è sempre stato. Quella scena lì ha poco a che fare con l’alternativo. L’alternative è nato per essere alternativo a ciò che va, quella scena in questo momento è quella che va, il circuito alternativo ha sempre meno spazio anche se ci sono dei gruppi di valore ma sono pochi, ora tutti si stanno buttando dentro queste nuove onde. Lo dico da un punto di vista analitico e non di giudizio. Dentro ogni genere c’è chi lo fa con qualità e chi con poca qualità. Questa scena è la nuova musica leggera italiana.

In conclusione vorrei riagganciarmi in qualche modo alla prima domanda. Tu sei riuscito a coronare il tuo sogno. Durante la pandemia il settore dello spettacolo è stato fortemente trascurato, tra esclamazioni discutibili (penso all’agghiacciante “Gli artisti che ci fanno tanto divertire”, all’indifferenza più totale. Cosa ti ha dato più fastidio di tutta questa situazione?
Non è un fastidio, ho avuto la consapevolezza che i lavoratori dello spettacolo, e quindi la musica, sono considerati all’ultimo posto di tutte le catene possibili e immaginabili. Questo purtroppo non mi stupisce in quanto comunque il settore muove poco da un punto di vista economico, che per noi è tantissimo ma considerato agli altri settori è poco. Abbiamo dunque avuto la dimostrazione di essere l’ultimo anello della catena. L’importanza della cultura di per sé in Italia bassissima, è un dato di fatto. Alla cultura bisognerebbe dare aiuto e importanza anche se portasse zero da un punto di vista economico. Invece: porti tanto? Ti aiuto, porti poco? Ti considero poco.

Attenzione, chiunque si fosse trovato lì al comando sarebbe andato in estrema difficoltà, non è quindi una questione critica ma analitica. Anche i pochi aiuti a mio avviso sono stati distribuiti in maniera sbagliata, ma perché non sapevano come farlo: magari hanno aiutato certi che avevano meno bisogno e i piccoli, i medi, sono stati lasciati soli. A me sono arrivati degli aiuti che reputo un insulto. Ripeto, non è una condanna al potere ma a come da sempre è stata considerata questa cosa: se non sai com’è fatto un settore non sai trattarlo, è questa la verità; è inutile chiamare all’ultimo minuto una figura che secondo te si intende di questa cosa, perché per intendersene ci vogliono anni.

Io credo che quello che è successo è stata la conseguenza naturale per il valore che viene dato alla musica. Il valore in Italia è questo, non mi ha sorpreso. Fare un certo tipo di cose qui non è come farle come in Inghilterra, Francia, Germania o Spagna. Qui siamo il Paese dove ancora la gente ti chiede cosa fai veramente come lavoro quando gli rispondi che fai il musicista. Culturalmente quindi abbiamo un valore bassissimo. Mi fanno ridere quelli che si riempiono la bocca sul valore della cultura: dimostratelo con i fatti non con le parole.

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