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Data di uscita: 10 febbraio 1997

Etichetta: Parlophone

In piena britpop-battle, la celeberrima “guerra” tra Oasis e Blur che fu resa viva soprattutto dalla stampa nella seconda metà degli anni ’90, i Blur, capitanati da Damon Albarn, diedero alle stampe un vero e proprio gioiello che ha per titolo il nome della band. Come a dare un segnale: non state a guardare il titolo ma concentratevi sul contenuto.

Il quinto lavoro in studio segna un cambio di direzione rispetto ai dischi precedenti, con sonorità più aggressive e psichedeliche che preparano il terreno al successivo “13”, che uscirà due anni dopo.

L’aggressività emerge tutta nel super-singolo “Song 2”, celebre anche per essere stato presente nella sigla del videogioco di calcio “Fifa: Road to World Cup 98”. Simil-punk breve e grintoso (appena 2 minuti di durata) che nel corso degli anni è diventato senza alcun dubbio il brano più famoso della band di Colchester. L’apertura (nonché primo singolo) è affidata alla splendida “Beetlebum”, una delle più belle ballad uscite dal panorama britannico negli ultimi 30 anni. Il falsetto di Albarn e la chitarra di Coxon hanno un segno inconfondibile e non possono non procurare un’estasi musicale dell’ascoltatore, a meno che non si è totalmente insensibili (in quel caso il discorso cambia ma è colpa vostra). “M.O.R.”, nata dalla penna di David Bowie e Brian Eno (oltre ai quattro Blur) è puro brit-rock, con controtempi al punto giusto e chitarre elettriche tirate che omaggiano lo stile proprio di Bowie ed Eno, riprendendo gli accordi di due brani scritti proprio dai due totem del rock internazionale (e contenuti nell’album “Lodger” di Bowie). “On Your Own”, terzo singolo, è leggera e coinvolgente, ha ritmi compassati e parti vocali che spesso sfociano in cori a più voci. Anche questa fu inserita in una colonna sonora, questa volta in un film con Leonardo Di Caprio, “The Beach” uscito nel 2000.

Altra stupenda ballad è “You’re so great”, scritta e cantata da Graham Coxon. Pop lo-fi che ci anticipa quello che sarà lo stile della sua carriera solista che inizierà l’anno dopo con “The sky is too high”. “Death of a party” è quasi un brano alla Gorillaz (altro grande progetto del leader Albarn), con ritmica che ci fa venire in mente i suoni dell’esordio della band-cartoon. La doppietta finale è memorabile: al rock’n’roll trascinante di “Movin’ on” fa seguito, in chiusura, la bellissima “Essex Dogs”. 8 minuti di psichedelia pura e ipnotica, come non si era ancora mai sentito nel panorama del rock britannico in cui Damon Albarn sussurra appena le parti vocali, come se stesse parlando ad un programma radiofonico. La svolta sonora è completa: i Blur hanno abbandonato il brit-pop.

Per quanto riguarda le classifiche di vendita, il disco ha ottenuto 2 dischi d’oro (Stati Uniti e Australia) e 4 di platino, vendendo oltre un milione di copie in Europa. Su Spotify il brano più ascoltato è ovviamente “Song 2” con poco più di 500 milioni di riproduzioni, seguito da “Beetlebum” con 36 milioni e “On your own” con 5 milioni.

È il disco che ha segnato il deciso cambio di rotta dei Blur. Già Albarn e Coxon stavano partorendo altri progetti e si sente in questa meravigliosa ora di musica. C’è dentro di tutto, rock, pop, lo-fi, psichedelia. Quattro mesi dopo arriverà “Ok Computer” dei Radiohead a dare un’altra bella botta al mondo del rock made in UK.

“Blur” resta un disco memorabile sotto diversi punti di vista, su tutti quello della scrittura e della produzione, su livelli altissimi. Il resto, le rivalità, le guerre musicali, le battaglie, resteranno solo chiacchiere da bar utili per le vendite dei tabloid britannici.

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