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The Pillow Line – Il Noisecast da degustare (anche per astemi)

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In un famoso libro scritto circa 2000 anni fa si narra di una vicenda dove il protagonista converte l’acqua in vino. Questo gesto è stato fonte di ispirazione per le seguenti generazioni. In tanti hanno provato ad imitarlo, magari qualcuno ci è anche riuscito, molti hanno iniziato a seguirlo, cantandone e decantandone le sue odi. Altri invece si sono mostrati più scettici, diffidenti verso questi trucchi di magia.

A modo nostro anche noi siamo sulle sue orme, cercando però di massimizzare le risorse a nostra disposizione a distanza di duemila anni. Abbiamo capito come l’acqua sia un bene prezioso. Basti pensare che per la produzione di un litro di vino ci vogliono dai 600 agli 870 litri di acqua (la ricerca dati è confusa, e le fonti ancora di più, però che l’agricoltura sia una grande voce per il dispendio idrico non lo scopriamo certo ora). Insomma, se ne utilizza già abbastanza, meglio preservarla. Ci focalizzeremo quindi sul vino, cercando di tramutarlo in emozioni, lasciando fare i miracoli ai professionisti del settore.

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Cercheremo quindi di essere più sostenibili, dato che va di moda dirlo prima che esserlo.
Proveremo a trasformare in vino un altro bene prezioso. Un bene analogo al vino, un prodotto di eccellenza dell’intelletto umano, coltivato e preservato per secoli in luoghi sacri, affidato anch’esso alla sapiente cura dei monaci. Un bene naturale, che trae ispirazione dagli elementi primordiali che ci circondano. Un bene armonico ed armonioso, soave.

Parleremo quindi – seppur non approfonditamente, sia mai – di un bene comune, che appartiene a tutti, esattamente come l’acqua. Ma lo faremo in modo non comune, saremo fuori dal coro, stonati. Fieri del nostro essere punk. Lo faremo prendendoci dei rischi, in primis quello di non piacere a tutti, lo sa bene chi vinifica, lo sa bene chi scrive, lo ha chiaro in mente anche chi compone. Chi arrangia arrangiamenti per arrivare a fine mese. È una questione di cultura, di abitudini e modalità di consumo, ma soprattutto di gusti.

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Non sarà facile combinare due beni che sono diventati a modo loro primari, o protagonisti della società in cui viviamo. Due elementi accessori, non indispensabili, ma che hanno i riflettori puntati addosso. E no, purtroppo, non parleremo di calcio, quello non è stato preservato dai monaci né fu inventato migliaia di anni fa.
Non sarà facile perché potrebbe risultare un abbinamento azzardato, incompreso o incomprensibile. Come un calice di bianco alle 10 di mattina o come una performance di arte figurativa, quel genere di avvenimenti che ti svoltano la giornata, nel bene e nel male.

Tuttavia saremo neutrali, un po’ per l’indole da paraculo che ci contraddistingue, un po’ perché abbiamo imparato a rispettare gli sforzi profusi da altri; nell’imbottigliare, nel produrre, nel raccogliere e nel campionare ogni singolo grappolo, selezionandolo sin dal principio e accompagnandolo con cura verso la fase successiva della lavorazione.
Inoltre non è bello giudicare il lavoro di chi è un professionista del settore, di chi versa sudore, e fatica, per il nostro diletto. Loro ci forniscono la materia prima e noi giudichiamo? Non potremmo permettercelo. Non siamo mica sommelier.

Zac zac zac! Questo il verso delle forbici che vendemmiano l’uva sotto il sole. Un rumore che ti accompagna tutto il giorno durante i fatidici giorni della vendemmia. Chi raccoglie l’uva, lo sente anche di notte, non riesce a levarselo dalla testa anche se in cuor suo sa che quel suono è solo l’inizio. Dopo di lui verranno altri suoni, generati da altri colleghi durante altre fasi della lavorazione. Arriveranno “i tecnici”, coloro che si prenderanno cura di ogni singola nota. Cureranno la produzione e la post-produzione.

Ci vogliono tempo e passione per rilasciare un prodotto, per darlo in pasto al pubblico, a volte ci si affeziona, altre volte ci si sente quasi costretti, pressati dalla voglia dei consumatori che con la loro brama fanno accorciare i tempi naturali e necessari. Purtroppo, la domanda fa parte del mercato, ma i consumatori ne ignorano le dinamiche che vi sono dietro, le logiche produttive e distributive. Non sanno perché un vino va in grande distribuzione e l’altro no. Non si interrogano abbastanza, pretendono, vogliono, richiedono, hanno sete, vogliono essere parte di questa giostra, vogliono ballare sul mondo.
È come se non ascoltassero i loro bisogni reali.  A volte sia ha l’impressione che si limitino solo a bere quello che c’è, senza ricerca. È come se da un giorno all’altro iniziassimo tutti ad ascoltare solo ciò che passa in radio, probabilmente finiremmo per apprezzarlo certo, ma il nostro gusto verrebbe plasmato da qualcun altro. Vogliamo correre questo rischio? Non verremmo sopraffatti dalla paura di perderci qualcosa? Qualcosa di migliore magari? Di più adatto ai nostri gusti? Quegli stessi gusti che ancora non conosciamo. Che non sappiamo di avere perché mai stimolati a dovere. È importante provare la degustazione completa, assaggiare tutto, ascoltare gli album interi.

È importante allora anche la musica, è complessa, difficile da intendere a volte. Come il vino. È un bene primario, è cultura, è un’eccellenza, un piacere. È ricercata e raffinata, viene venduta ed esportata, in Italia ed all’estero. È apprezzata e disprezzata, divide ed unifica, è nazionalpopolare. La musica non ha bisogno dei sommelier. Invecchia quasi meglio del vino e va bene anche per gli astemi, come l’acqua appunto: è preziosa. È difficile da convertire in qualsiasi altra cosa.

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Di certo non starà a noi farlo. Ci limiteremo a parlarne, ma senza pretese, cercando un nesso logico con il vino, anche se spesso sarà sconnesso.


Speriamo vi piaccia. E se The Pillow Line, il primo Podcast di Noisecloud, avrà dei difetti, è perché anche i vini sanno di tappo, ed anche i cantanti stonano (o si dimenticano l’autotune acceso). È perché i difetti fanno parte dell’essenza dell’umano, probabilmente anche colui che convertiva l’acqua in vino ne avrà avuti un paio, dai.  

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