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Il Sot Ala Zopa, l’elogio all’underground


“Sot Ala Zopa” è la traduzione letterale di “Sotto alla Terra”. Underground si direbbe altrove. Come la metro di Londra. Come la musica. Mu-si-ca – Under Ground. Suona bene. Non ho mai compreso appieno le catalogazioni né tantomeno le definizioni che vengono attribuite ai generi musicali, troppe sfumature, o semplicemente troppa musica per potersi orientare in questa galassia. Ho però ascoltato abbastanza, da capire che mi piace il sistema solare dell’Underground, sia esso musicale o meno. E poi fa figo dire che ascolti l’Underground.
Così come fa figo usare termini inglesi sul lavoro. Quindi, per proprietà transitiva, immagina quanto può fare figo andarci all’Underground, e non era la metro di Londra. Era il Primiero. Era il Sot Ala Zopa. Era un’altra era.
Il secondo week end di settembre, notoriamente tra i più piovosi, ci si andava al Sot Ala Zopa. In massa. Come le vacanze al mare di Ferragosto nei film degli anni ‘80. Un esodo. Come i tifosi dell’Olanda. Non erano gli anni ‘80 erano gli anni ’10. Non c’era la prima repubblica, ma c’era Berlusconi. Non era il mare, era la montagna. Ogni anno un ritorno a casa. Ogni anno si partiva prima per avere assicurato il posto per allestire “l’accampamento” dentro l’area free camping del – free – festival. Per 7 anni, dal 2011 al 2017 (le prime due edizioni me le sono perse, troppo Underground), un pellegrinaggio laico ci ha portato a scoprire con qualsiasi mezzo una Terra angusta, incastonata tra le vette del Trentino. Abbiamo scoperto molta buona musica. Ma anche il cibo era valido. A posteriori, abbiamo scoperto noi stessi.

Era il SAZ per gli amici. E come non essere amici di un festival così? La musica ci ha trasportati 750 metri sopra il livello del mare (altro che Underground!), facendoci evadere, in tutti i sensi, da tutti, dai sensi. Ci ha immersi dentro la Terra, riempiendo di fango i nostri finali di estate frizzantini. Il SAZ ne marcava esattamente la fine, come se fosse necessario ricordarci che tutto termina, anche l’estate con le sue hit da spiaggia. Per il pubblico combaciava con il ricominciare, prima della scuola e/o dell’università, poi il festival è diventato una pausa dal lavoro. Il classico week end che prendi libero con largo preavviso. Un punto fisso nel calendario mentale, come lo sono il Natale, il 25 Aprile il tuo santo patrono di riferimento ed il compleanno della tua ex. Un appuntamento da non mancare. Ok. Ma perché?

Già perché? In fin dei conti i canederli posso mangiarli anche a casa mia. Ma a casa mia, è raro che campeggi per due giorni con molta gente a me affine e cara, ascoltando dal vivo le migliori band della scena in quel momento.
Sì, perché al SAZ ci sono capitati più o meno tutti; tanto che negli anni ci si domandava chi arriverà il prossimo settembre. C’era suspence per i nomi. E non veniva certo disattesa: Ministri (x2 volte con tanto di video di Una Palude), Fask (x2 volte), Zen Circus (x2 volte), Il Teatro degli Orrori (!), Marta sui Tubi, PopX (data di “casa”), Verdena (un diluvio degno del primo maggio a Roma), IoSonoUnCane, Motta, Selton, Wrong On You, Cyborgs, Linea 77, Bud Spencer Blues Explosion, Tre Allegri Ragazzi Morti, Pan del Diavolo, Mellow Mood. Musica per tutte le galassie insomma. I tour estivi portano le band a girare come palline impazzite dentro un flipper a forma di stivale + isole. Un turbinio di sagre culinarie di dubbio gusto, feste paesane e festival veri e propri. Il SAZ era la tappa finale, quella di montagna, la più ambita nel ciclismo. Per le band arrivare a Tonadico significava terminare l’estenuante tour estivo. Liberarsi. La loro fine, il nostro inizio verso i doveri. Ho visto gruppi rattrappirsi dal freddo. Scaldarsi con qualsiasi alcoolico. E scoprire un angolo di Italia. I festival servono anche a questo. Promuovere un territorio. Sui palchi del SAZ si sono amalgamati inoltre molti gruppi locali trentini con band di scala internazionale come i The Subways e i We Are Scientists.

Il Sot Ala Zopa è stato il presente. Si è svolto senza un tempo preciso, un limbo dalle responsabilità dove ci piace pensare di poter vivere in eterno. Il SAZ è passato, perché è trascorso. L’evento è terminato, sentenzierebbe freddamente Facebook. Ma che ne sanno quelli di META delle emozioni? Gli eventi sono ancora lì, a testimoniare che sono esistiti. Le foto ci sono, virtuali, non sbiadite. Le locandine ancora in cameretta mia. Mamma, giuro che un giorno le levo, le incornicio, assumeranno valore! Le porterò con me, per ricordarmi di quando vivevo nel limbo, ora che le responsabilità bussano alla porta, ci salutano per strada. Il SAZ è futuro perché ci ha segnato, ci ha cresciuto.
Tutto questo è stato possibile grazie ai ragazzi che il SAZ lo hanno, pensato, studiato, creato. Io ne ho solo fruito. Qui il toccante comunicato di commiato. Anche solo leggendolo, si capisce la grandezza di quello che è stato. Grazie.

Ph. FB Sot Ala Zopa / Matteo Scalet

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