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VOTO DISCO7.5
7.5Overall Score

Venerdì 30 aprile è uscito per Sugar il terzo disco di Francesco Motta, Semplice. Il terzo album del cantautore toscano è un disco nato senza fretta, un lavoro meticoloso sul togliere il superfluo. La riconoscibile scrittura di Motta (così come la scorsa volta arricchita da Pacifico) rimane diretta, senza troppi fronzoli e ghirigori inutili perché il livornese non deve ormai dimostrare a nessuno quanto è cantautore. Qualche gioco di parole in più nella finale Quando guardiamo una rosa cofirmata da Dario Brunori. E qualche io in meno che lascia spazio a noi.

Ma non vuol dire che non è cambiato nulla. Semplice non è una svolta radicale ma un percorso naturale di un Motta adulto, concentrato, a tratti quasi sereno, che crescendo accetta la propria fragilità. Meno arrabbiato, che ha imparato a godersi le cose (Via della luce) e accettarsi così com’è, pieno di contraddizioni, una vita a metà (L’estate d’autunno). Sono dieci testi semplici ma non sempliciotti, di uno che non deve più dimostrare nulla agli altri ma non smette di mettersi in discussione.

Questo fil rouge di semplicità ed essenzialità però non va confuso con il minimal. Certo, di cambiare accordi no, non gliene frega (ancora) niente, ma gli arrangiamenti e la produzione curata ancora una volta da Taketo Gohara (d’altronde squadra che vince non si cambia) sono tanto raffinati ed eleganti quanto lontani dal minimalismo. Gli archi di Carmine Iuvone che si aggiungono alle solite chitarre acustiche ed elettriche e batterie del livornese creano tensione, la seconda voce (appartenente alla sorella del cantante, Alice Motta) addolcisce. Le atmosfere sonore spaziano tra romanticismo in chiave synth anni ‘80, pezzi più ritmati (Quello che non so di te) per farci riscoprire addirittura il valzer (Le regole di gioco) e lasciarci leggermente scomodi dopo la cupa coda strumentale di oltre tre minuti (Quando guardiamo una rosa).

Semplice è un disco maturo che mantiene il livello dall’inizio alla fine senza risultare piatto. Forse non ha la freschezza del debutto, e neanche la forza di Vivere o Morire, ma è il disco giusto nel momento giusto. Non è nulla di sconvolgente o rivoluzionario ma forse la cosa veramente rivoluzionaria oggi è proprio la normalità? La faticosa leggerezza di permettere alle cose di andare così, come dovevano andare…

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