fbpx
Classifiche

TOP 5: I MIGLIORI CONCERTI STRANIERI DEL 2022

I migliori concerti stranieri. Il 2022 è stato il primo anno di ritorno completo alla normalità: via mascherine e sedie e giù di eventi, momenti di aggregazione e rituali sociali che credevamo dimenticati. Inclusi i concerti.

E dunque, con puntuale ritardo, qui la mia personale Top 5 dei concerti stranieri. Una classifica dal dubbio gusto, frutto dell’estemporaneità di fare un po’ di ordine nella mia mente. La si potrebbe leggere come una guida di 5 band straniere che, nei contesti live, sanno dare il meglio di sé.

5) Gorillaz (Primavera Sound), Parc del Fòrum, Barcellona
Lo ammetto: sono andato al Primavera Sound 2022 (quasi) solo per sentire Damon Albarn e soci. I Gorillaz, operazione nata oramai vent’anni fa, non sono per nulla invecchiati (del resto, può invecchiare l’avatar artistico versione cartoon di un genio?), 2D, Murdoc, Russell e Noodle erano lì, a tutto schermo, con le loro facce scimmiesche, i loro zigomi pronunciati, il loro nonsense esistenziale. Più simili ad un Dylan Dog o ad un Capitan Harlock che al loro alter ego umano. E sul palco Albarn, che ha cinquant’anni ma è ancora bellissimo, era accompagnato da alcuni ospiti di eccezione, come la magnifica Fatoumata Diawara e il poco poco incazzato Slowthai. Emozioni palpabili.

4) Arcade Fire, Mediolanum Forum, Assago (MI)
Gli Arcade Fire sono un vecchio amore del liceo. Uno step obbligatorio della crescita musicale. Rappresentanti di un genere che è (stato) una commistione di più generi, un instant classic per noi adolescenti dei primi anni ’00. Sono passati più di dieci anni da allora e gli Arcade Fire continuano a tenere duro, nonostante un’opinione del pubblico (morale, etica, prima ancora che musicale) diversa da quella che li incensava come i perfetti alfieri del folk rock del nuovo millennio. Al Mediolanum Forum la loro esibizione è stata incredibile (nonostante un infortunio del cantante Win Butler al terzo pezzo, che ha rischiato di farci tornare a casa affamati e insoddisfatti). Sanno suonare, sanno emozionare. Da rivedere.

3) Bonobo, Fabrique, Milano
Bonobo è uno di quegli artisti che ha il raro talento di spaccare in due il pubblico: o lo odi o lo ami. Abbagliato dal suo fascino – che è quello di chi polarizza, divide, sfalda – sono andato a sentirlo a Milano, un uggioso sabato sera autunnale. Ne ho ricavato uno dei momenti di piacere fisico (ho detto bene: fisico) di questo 2022. Bonobo è viscerale, le sue sonorità oniriche ti si infilano sottopelle, lungo la schiena, toccano i giusti nervi. E tu sei lì, un po’ attonito, ti stai rilassando, ad un passo dall’ipnosi, dai la colpa al gin tonic, ma non può essere. Non c’è una morale facile, non un insegnamento da trarre. In generale, con Bonobo non si ragiona: si esperisce.

2) Fontaines D.C. (Primavera Sound), Parc del Fòrum, Barcellona
“Fuck the Queen! Fuck the Queen! Fuck the Queen!” Incessantemente, ripetutamente. Il mantra del Primavera Sound. I Fontaines D.C. sono irlandesi pregni di questione irlandese e il loro pubblico, che ha fatto l’Erasmus ed è cosmopolita, a ‘sto giro la Regina Elisabetta II l’ha presa a randellate (metaforiche). Poraccia, proprio l’anno in cui se n’è andata, tra l’altro. Di fatto si pogava. Un pogo divertente, urgente, solidale. Niente violenza eccessiva, nessun atteggiamento sopra le righe. Solo la condivisione di un’esperienza, quella dei Fontaines D.C., che è prima di tutto sociale, poi musicale. Di fatto, il punk rock in pillole, signori.

1) Nick Cave (Primavera Sound), Parc del Fòrum, Barcellona
Infine, contro ogni (mio) pronostico, Nick Cave concerto dell’anno. Ma a mani basse proprio. Reduce da una tragedia umana – la perdita di un figlio, il secondo – Nick Cave è arrivato, ha preso in mano il microfono, si è messo al centro del palco e ci ha vomitato addosso il suo dolore. Senza tristezza o autocommiserazione. Solo la rabbia, che è catartica, crea legami col pubblico e genera maggiore empatia. Lui angelo e demone insieme, in generale una figura estrema, eterea, spirituale. Il tutto su un sottofondo che, senza banalità, era la quintessenza del “rock”. Chitarre che fanno le chitarre, batterie che pestano, orchestra che armonizza il tutto. Quante emozioni, quanto talento. Ma – soprattutto – quanta gratitudine.

Condividi: