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Ministri, Balena Festival – Il Report Live

Veramente viviamo in tempi bui, giusto per citare uno dei loro pezzi più celebri. Il trio Ministri composto da Divi, Dragogna e Michelino, forti dell’aggiunta di Marco Ulcigrai – voce e penna de Il Triangolo e presenza fissa dal 2015, si sono esibiti domenica 18 giugno al Balena Festival di Genova.

I tempi bui sono giustificati dalle sedie, o meglio, dal fatto che quello dei Ministri è un concerto con le sedie, una delle misure d’obbligo per il contenimento della variante Delta del covid-19. Delta, alfa o gamma, se da una parte è giusto proteggersi dall’aumento galoppante dei contagi, dall’altra ci si chiede se seguire un concerto in questo modo sia un compromesso accettabile. Ce lo chiede Divi, in una delle pause tra una canzone e l’altra. Una domanda palesemente retorica. Il pubblico reagisce alzandosi in piedi, la sicurezza storce il naso, non vuole problemi.

La scaletta dei Ministri è una delle più belle negli ultimi tempi. Oltre a presentare i 4 pezzi dell’ultimo EP “Cronaca Nera e Musica Leggera”, la maggior parte dei brani viene dagli album più belli della band. Torna “Il Sole (E’ Importante Che Non Ci Sia)”, con quel giro killer di basso che abbiamo imparato ad amare. Vengono riproposti i grandi classici, come “Comunque” e “Fuori”. Il pubblico fatica a contenersi. Per molti è il primo concerto dopo un anno e mezzo di astinenza, c’è qualcosa di più in  questo evento, in molti ritrovano un sapore, fatto di gesti, applausi, urla e cori, che si stava dimenticando.

Per il ventennale di uno degli eventi più bui dell’attualità italiana, quale il G8 di Genova, la band, che non ha mai nascosto un certo impegno sociale sin dalla sua formazione, ha riproposto “La Piazza”, una delle canzoni più amate dal pubblico, scritta sull’onda emotiva di questa tragedia.

Il tempo passa, i minuti corrono. Dopo l’esecuzione di qualche pezzo degli ultimi due album (“Sabotaggi” o “Tienimi Che Ci Perdiamo”), la dedica a Franco Battiato con la cover “Alexander Platz”, i Ministri chiudono con “Il Bel Canto”. È su questo pezzo che la spaccatura tra prima e dopo, tra passato e presente, tra quando stavamo bene e quando abbiamo avuto paura, si fa sentire. Niente stage diving sul pubblico, non è possibile. Il cantante si limita a scendere dal palco e venire tra la gente, l’intento di far sentire la propria presenza, la propria vicinanza.

L’encore è una catarsi: “Inferno”, “Cronaca Nera E Musica Leggera”, “Spingere” e – per chiudere – “Una Palude”. L’autogestione ha inizio, saltano gli schemi. Qualcuno del pubblico va avanti, sottopalco. Nessuno è più seduto. La normalità, quella vera, quella che ci manca (non quel surrogato fatto di mascherine e distanziamento sociale) si avverte per pochi attimi. È una festa, un momento di gioia, un atto di ribellione. I Ministri salutano Genova, il Porto Antico fatto di grosse navi che salpano alle loro spalle, dopo un concerto necessario, quasi terapeutico per la salute mentale di tutti i presenti. Una serata che avrebbe potuto veder partecipare più persone, ma il duro purismo di questa band sta proprio qui: fedeli alla linea, alla loro musica, alla loro identità. Il ricambio generazionale, nel caso dei Ministri, non c’è. Poche nuove leve, ma tanti affiatati, con un livello di attaccamento simile a quello per la squadra di calcio del cuore.

Grazie di tutto.

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